«C’è tutta un’arte delle mani alla base della nostra economia vera. È più facile scoprirla nei lavori quotidiani e umili che compongono la grammatica della nostra cooperazione civile.
Parliamo, ci stimiamo, ci serviamo, ci incontriamo prima di tutto lavorando, quindi parlando, stimando, servendo e incontrandoci soprattutto con le mani.
Sono le mani delle infermiere, degli infermieri, dei medici, delle casalinghe, dei baristi e degli architetti, degli elettricisti, degli idraulici, dei muratori, degli uomini e delle donne che puliscono i nostri uffici e le nostre fabbriche; le mani delle maestre, dei mastri carpentieri, degli scrittori e dei giornalisti (che restano “mani” anche quando pigiano su una tastiera o toccano uno schermo) che ci fanno vivere e fanno rivivere la nostra società.
Possiamo prendere lauree, diplomi, frequentare dieci master, ma finché quelle idee astratte non diventano conoscenza delle nostre mani, non abbiamo ancora appreso un mestiere.»
Dalla riflessione di Luigino Bruni, nasce spontaneo il pensiero attorno ad una parte del corpo che va oltre il semplice appartenere al corpo, perché si fa contatto con l’altro, strumento di ascolto, di vicinanza, di umanità.
«Conosciamo il mondo toccandolo, lo abitiamo con le mani. Sono esse il primo linguaggio che dà nome alle cose, le plasma, le trasforma, il primo strumento con cui entriamo in contatto con l’esistenza, con la vita, con gli altri.
Da bambini, da adulti, da vecchi, da malati, sempre.»
Quante volte ci prendiamo del tempo per osservare in che modo le nostre mani si muovono?
Chi incontrano, a cosa si dedicano, per quali azioni si impegnano?
Interrogativi utili per ritornare a quel compito del terzo millennio, che è il ritornare alla relazione: riappropriarci del cuore e lasciarci andare alla scoperta di altri esseri umani, che parlano quindi di orizzonti nuovi, inesplorati, diversi.