Cosa ha perso l’economia senza lo sguardo delle donne?

Cosa ha perso l’economia senza lo sguardo delle donne?

Cosa ha perso l’economia senza lo sguardo delle donne? 2560 1219 Casa Don Puglisi

Cosa ha perso l’economia senza lo sguardo delle donne e senza uno sguardo sulle donne?

La scienza economica moderna si è costruita tutta al maschile. Non poteva essere diversamente, per i tempi in cui si è andata delineando come scienza autonoma, cioè alla fine del 1700. Abbiamo un padre fondatore, Adam Smith, ma non una madre fondatrice. Ed è anche difficile rintracciare le prime donne economiste, dal momento che diverse usavano pseudonimi maschili per poter pubblicare le proprie ricerche.

Nel 1869, l’economista John Stuart Mill diede alle stampe un libro dal titolo The subjection of Women e così si esprimeva in esso: “Il principio che regola gli attuali rapporti sociali tra i due sessi – la subordinazione dell’uno all’altro sancita per legge – è un principio scorretto in sé che, diventato ormai uno dei principali ostacoli al progresso umano, andrebbe sostituito con un principio di assoluta uguaglianza”.

Da allora molto è cambiato, e, almeno in termini di principio, oggi quasi nessuno oserebbe mettere in dubbio la sostanziale pari dignità tra uomo e donna. Ma all’epoca del libro, e per molti anni a seguire, alle donne sono stati negati molti diritti, compreso l’accesso agli studi. Risulta famosa un’affermazione di Gioberti: “La donna, insomma, è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé”. Fu la moglie Harriet a ispirare e affiancare Mill nella stesura del libro, come lo stesso Mill dichiara nella sua autobiografia, ma ufficialmente l’unico autore risulta essere lui. Così è stato anche per i libri Principles of political economy e On liberty.

Dobbiamo aspettare il 1875 perché una donna, Mary Paley Marshall, sia autorizzata a tenere lezioni di Economia a Cambridge, dopo esser stata tra le prime cinque donne ammesse a studiare all’università. Nel 1877, Mary si sposa con l’economista Alfred Marshall e, anche qui, lo stesso copione: la sua ricerca si fonde con quella del marito, ma i riconoscimenti sono asimmetrici. Questa volta, almeno un libro, The economy of industry, porta le due firme. Inoltre, Mary risulta essere l’unica donna citata nel saggio di John Maynard Keynes sui personaggi britannici di rilievo. Potremmo continuare, e scopriremmo che, tuttora, la componente femminile nella scienza economica e nell’accademia è di gran lunga inferiore a quella maschile. Se pensiamo all’Italia, una recente ricerca della Società italiana degli economisti rileva che le accademiche di ruolo italiane in

campo economico rappresentano il 28,5% del totale. Lascia ben sperare che la percentuale di dottorati di ricerca conseguiti da donne sia del 52%.

Ci si chiederà perché è così importante che ci siano donne a pensare l’economia. […]

La parola economia deriva dal greco oikos-nomos: cura e gestione della casa, dove per casa possiamo intendere le mura domestiche, ma anche la casa comune, il pianeta che abitiamo. La casa viene vista molto diversamente se a guardarla è un uomo o una donna. Fino a ora lo sguardo sulla casa e sulla nostra casa comune è stato molto maschile. L’uomo guarda soprattutto al lavoro, agli aspetti materiali e istituzionali: tutto ciò è molto importante, ma se diventa uno sguardo assoluto può deformare la realtà. La donna guarda maggiormente ai rapporti, a ciò che ha a che fare con la cura. Anche questo è uno sguardo che da solo non basta, ma ne sentiamo la mancanza dentro le grandi aziende, a livello politico, nelle istituzioni in generale. Abbiamo bisogno di iniziare, o continuare a guardare questa casa con uno sguardo di donne. Soprattutto, è necessario iniziare a guardarla insieme, uomini e donne. A immaginarne insieme il futuro.

(Alessandra Smerilli, Donna Economia. Dalla crisi a una nuova stagione di speranza, Edizioni San Paolo, Milano 2020)