Da Paganica le omelie di don Dionisio e don Federico

Da Paganica le omelie di don Dionisio e don Federico

Da Paganica le omelie di don Dionisio e don Federico Casa Don Puglisi

Da quando dopo il terremoto del 2009 abbiamo avviato rapporti di fraternità con Paganica abbiamo condiviso amicizia e visite reciproche, ma anche e anzi anzitutto la fede. Ecco come diventa bello ricevere l’omelia del carissimo don Dionisio, parroco di Santa Maria Assunta in Paganica, che nel giorno di Pasqua invita non solo ad annunciare il Cristo Risorto ma a portarlo nella vita, e l’omelia di don Federico Palmerini nel giorno della festa della Madonna di Appari con l’invito a cogliere il messaggio di Dio in questo tempo di crisi che ci chiede di non tornare ad essere quelli di prima ma a immergerci nella morte e resurrezione di Cristo per una vita veramente nuova a partire da se stessi. E poi ricordiamo come ogni giorno sia possibile collegarsi con fb delle Clarisse di Paganica per seguire alle 7,40 le lodi e alle 18 i vespri. Così ci lasciamo condurre dalla Parola in una comunione che attraversa e unisce l’Italia

Il testo dell’omelia della messa di Pasqua di don Dionisio:

A tutti quanti, miei carissimi fratelli e sorelle, dal profondo del mio cuore, tantissimi auguri di buona Pasqua.
Cristo è risorto, Alleluia!
Che la gioia e la luce di questo giorno santissimo possano trasformare le nostre vite e illuminare il buio che sicuramente, in questi giorni, ha messo in difficoltà la nostra esistenza. Che ognuno di noi, incontrando il Risorto, sappia dare alla sua vita maggiore colore; Cristo Risorto ha illuminato anche l’evento più difficile nella storia di ognuno di noi: la morte. Gesù, con la sua Resurrezione, ci invita a cambiare atteggiamento di fronte a questa realtà; Egli, con la vittoria sulla morte, ha spalancato le porte dell’eternità. Dio si è rivelato come un Dio dei vivi e non dei morti. Un Dio che ama l’uomo profondamente, sino a dare la Sua vita per la nostra. Dio, con la vittoria del Suo Figlio sulla morte, ci ha liberato da ogni schiavitù, ha fatto di noi uomini liberi.
Oggi tutta la Chiesa gioisce, tutta la Chiesa riconosce che in Cristo Risorto l’umanità si rinnova. Siamo diventati creature nuove. Questa è la novità che celebriamo, la novità che riconosciamo e accettiamo nella fede.
Adesso la domanda sorge spontanea: io credo veramente nella Resurrezione ? ho bisogno di dimostrazioni per credere? Siamo assaliti dai dubbi o siamo certi che Gesù è veramente risorto? Viviamo in una realtà dove tutto deve essere conosciuto, dimostrato, calcolato, utilizzando metodi e percorsi scientifici; siamo diventati troppo intelligenti per accettare come vero tutto quello che va fuori da un controllo empirico e scientifico. E quindi la Resurrezione resta semplicemente un racconto, un episodio fantastico nella vita di un certo Gesù di Nazareth…le cose stanno proprio così?
Carissimi fratelli e sorelle, sappiamo tutti che la strada della fede è una strada complicata e impegnativa in quanto non dipende da noi. La fede è un dono, ecco perché non possiamo acquistarla, possederla. La fede viene dall’alto, viene da Dio. Lui l’ha messa nei cuori dei credenti, poi ognuno collabora perché essa possa crescere e svilupparsi.
Perché vi parlo della fede? Perché senza la fede questa festa corre il rischio di diventare soltanto un’illusione, pura fantasia. Il racconto della Resurrezione arriva a noi grazie alla testimonianza di alcune donne e di alcuni discepoli. Nessuno ha visto accadere l’evento, nessuno vede Gesù risorgere; tutti quanti vedono il sepolcro vuoto ed è questo che raccontano e annunciano. Poi sarà questo annuncio a diventare verità nella vita degli altri. Il sepolcro vuoto sta a significare che Cristo ha mantenuto la sua promessa, che Cristo ha vinto veramente sulla morte e sul peccato. Se noi oggi ci sentiamo di festeggiare questo evento vuol dire che anche noi abbiamo ricevuto questo dono, che siamo veramente uomini e donne di fede. Allora, se Cristo è risorto, la nostra fede non è vana e l’invito di Gesù deve diventare per tutti motivo per vivere. E in quale modo deve vivere un vero discepolo, un vero credente? Deve diventare sempre più un testimone credibile della Resurrezione di Cristo, deve vivere come risorto e non come morto. E’ indispensabile per ogni credente incarnare i valori presenti nel Cristo trasfigurato, nel Cristo luminoso; dobbiamo non solo annunciare il Cristo Risorto ma sopratutto portarlo nella nostra vita, lasciando che la Sua luce possa arrivare agli altri attraverso la vita di ognuno di noi.
Che Dio faccia di tutti noi veri figli del Risorto.
Che sappiamo comunicare il Cristo Risorto in questo momento della nostra storia.

Il testo dell’omelia di don Federico per la festa della Madonna d’Appari:

Stamattina, in questo santuario, è freddissimo! Non è una questione meteorologica, né tantomeno l’umidità dell’edificio o quella determinata dal Raiale.

È freddissimo, sì, perché oggi qui c’è un vuoto che pesa: oggi questo luogo santo doveva pullulare di persone, magari venute anche con motivazioni diverse (chi per fede, chi più per semplice tradizione, chi per curiosità), ma comunque era una folla che scaldava il cuore. Lo ha scaldato anche con temperature gelide, persino con la neve. Il calore di una comunità che si ritrova per far festa, e per far festa intorno a sua Madre.

Oggi questo vuoto è una pugnalata, mi azzardo a dire che è quasi peggiore del 2009, quando almeno avevamo avuto la possibilità di fare una processione tanto sobria quanto profonda con le nostre statue di san Giustino e della Madonna d’Appari nella tendopoli appena allestita presso il Campo sportivo. Eravamo senza niente, ma almeno eravamo insieme.

Oggi non possiamo guardarci negli occhi, stringerci la mano, darci un abbraccio: e quanto ci sta pesando quest’assenza!

Sorge una profonda nostalgia, nostalgia di tornare alla normalità, di riprendere a fare le cose di prima, sperando che finisca subito questa situazione. E intanto che rimaniamo in questo tempo così difficile, o ci rifugiamo nel bel passato, o fuggiamo con la mente nel futuro.

Eppure, siccome la fede non è un sentimento, anche in questa fatica del cuore che ci troviamo a vivere, ci è chiesto di stare, di rimanere, non soltanto in casa, ma nel presente, in questo presente.

 

“Stava”: è uno dei verbi che più identificano Maria. “Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa”: sotto la croce, quando tutti sono fuggiti, Maria è rimasta. Credo che oggi, alla Vergine Santa, la grazia che innanzitutto dobbiamo chiedere non è che tutto questo finisca subito, ma che possiamo rimanere in questo tempo con la disponibilità a convertirci e a cambiare vita. Sì, perché se questo flagello della pandemia dovesse finire anche in questo preciso istante e noi fossimo rimasti quelli di prima, sarebbe una disgrazia forse ancora peggiore.

 

“Non dobbiamo tornare indietro, quando sarà passato questo momento. Come ci ha esortato il Santo Padre, non dobbiamo sciupare questa occasione. Non facciamo che tanto dolore, tanti morti, tanto eroico impegno da parte degli operatori sanitari sia stato invano. È questa la ‘recessione’ che dobbiamo temere di più”: così ha esortato con forza nella sua predica del Venerdì Santo, davanti a Papa Francesco, padre Raniero Cantalamessa. Sì, ci saranno difficoltà economiche grandi, dure, lo sappiamo bene, ma la principale recessione da temere è un’altra: quella di uscire da questa tragedia senza averne imparato nulla.

 

Perché non basta una mazzata, personale o collettiva, a cambiare il cuore di un uomo; ce lo ha insegnato il terremoto. Non è sufficiente, se non è presente anche il riconoscimento umile e limpido che nella nostra vita personale ci sono cose che devono cambiare. Attenti! Non sto dicendo che è il mondo, la società, il sistema economico che deve cambiare: sono io, perché, come diceva qualcuno, “se cambio io, il mondo ha cominciato a cambiare”.

La Pasqua che stiamo celebrando ci offre l’opportunità di risorgere: non come Lazzaro, per tornare alla vita di prima, ma per una vita nuova.

Oggi, allora, mi sembra che la Parola che ci è stata donata ci chieda di fermarci un po’, perché anche a noi possa essere “trafitto” il cuore, come accaduto ai Giudei che ascoltavano Pietro, nella lettura degli Atti. Il cuore viene trafitto quando lasciamo che il Signore ci chiami per nome, quando ci lasciamo interpellare da lui, quando, nel momento in cui egli si rivolge a noi, noi non ci giriamo per vedere se, per caso, ce l’avesse con qualcun altro.

 

In questo tempo, in un modo misterioso, il Signore, che non è l’artefice di questo flagello, perché il nostro Dio è alleato della vita dell’uomo, non della sua morte, ci sta comunque chiedendo di cogliere quest’occasione per evitare virus ben peggiori del Covid 19, virus che già prima di adesso hanno mietuto ogni giorno numeri sterminati di vittime in ogni parte del mondo.

Ma ci sono anche virus che non ammazzano fisicamente le persone, ma le feriscono e le ammazzano dentro. Oggi, insieme a tante virtù, quali virus sono presenti in ognuno di noi e nella nostra comunità di Paganica?

Credo ce ne siano diversi, ma ne voglio evidenziare solo un paio, che mi sembrano più emergenti in questo tempo:

  • il virus della chiacchiera: oggi va di moda la tuttologia (tutti sanno di tutto, pontificano su tutto, meno sanno e più parlano). Nei paesi, poi, le chiacchiere possono generare vere e proprie pandemie, che feriscono pesantemente. “Che cosa dobbiamo fare?”, si domandano gli ascoltatori di Pietro nella prima lettura. Me lo domando anch’io con voi. E se prima di chiacchierare, che è uno sport che riesce bene un po’ a tutti, pensassimo che abbiamo un’opportunità più bella da realizzare, quella di custodire l’altro, anche qualora avesse sbagliato? Perché rovinarne la stima e la considerazione negli altri, ammesso che sia vero ciò che di negativo si dice sul suo conto? Quale guadagno abbiamo ad agire in questo modo? Forse solo il sadico gusto di chi, temendo il giudizio degli altri, si fionda a condannare quando, per una volta, non c’è lui sotto tiro. Non credete che ci contageremmo di vita, anziché di frecciate dolorose, se qualche volta tacessimo un po’ di più e cercassimo il bene nell’altro, dandogli fiducia?

 

  • Il virus della discordia: mi colpiva ieri, ascoltando l’inno a s. Giustino, la supplica perché conceda concordia al nostro paese. Segni belli ci sono, ma credo ognuno di noi possa crescere molto. E se la concordia sta a cuore ad un padre, come s. Giustino, figuratevi ad una madre, come Maria. Nelle famiglie, le madri sono le prime che “abbozzano” quando ci sono dissapori, pur di mantenere l’unità e di costruirla sempre più solida. Come si cresce nella concordia? Avendo il desiderio di lavorare insieme, venendosi incontro nelle differenze, evitando di obbedire a vecchi rancori, cercando occasioni di riconciliazione, partendo dal buono che ognuno di noi può mettere in campo. Questo tempo ci sta insegnando che la premessa per una pace autentica è prendersi cura della vita di tutti, nessuno escluso. Se provassimo anche nelle nostre famiglie, sul lavoro, nella nostra comunità, nelle nostre associazioni a mettere sempre in cima alla lista il bene dell’altro e della comunità, riconoscendo che il bene di una comunità viene prima del bene di un piccolo gruppo, sempre!

 

Ognuno, personalmente, può continuare la riflessione, ma non per fermarsi soltanto ad un’analisi. No, dobbiamo arrivare ad una conversione, cioè ad un cambiamento di vita. Come? Facendoci “battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei peccati” per ricevere poi “il dono dello Spirito Santo”. Perché, non siamo già battezzati? Sì, ma si tratta di immergerci sempre di più nel dono della misericordia: quando cioè riconosciamo di aver mancato nei confronti di noi stessi, degli altri, di Dio, non cerchiamo sempre di autogiustificarci. Chiediamo perdono, invochiamo la misericordia di Dio, lasciamoci riconciliare con lui. Allora potremo davvero cambiare, perché ci saremo accorti che dal male che ognuno di noi si porta nel cuore ci può salvare solo il suo amore gratuito, da soli non ci riusciamo. E quando saremo stati perdonati, allora potremo ricevere il dono dello Spirito, che ci rende capaci di amare, di voler bene, in modo nuovo: disinteressato, limpido, gratuito, disponibile al sacrificio, capace di concordia.

 

Maria tutto questo lo desidera per noi: è lei che, a Cana, ha raccomandato ai presenti di fare qualunque cosa il Figlio avesse detto loro di fare. Fidiamoci di lei, ogni volta che ci invita nuovamente a tornare a suo Figlio, a non voler fare solo di testa nostra, a cercare in ogni circostanza sempre il bene vero dell’altro, e non innanzitutto ciò che conviene a noi.

A Maria, che ha saputo tenere uniti anche gli apostoli, nello sbandamento vissuto dopo la morte di Gesù, chiediamo la grazia di credere che ognuno di noi può essere diverso, può amare di più, può amare meglio, solo se si lascia amare di più da Dio, se si lascia perdonare di più da Lui, se si lascia indicare la strada della vita vera. Con questa speranza invochiamo la sua intercessione per la nostra comunità, perché la renda capace di conversione. Allora anche queste feste così particolari avranno portato frutto, perché avremo trovato l’essenziale, che poi ci rende capaci di gustare tutto il resto.