Diocesi di Noto. Alla Scala per programmare il prossimo anno pastorale

Diocesi di Noto. Alla Scala per programmare il prossimo anno pastorale

Diocesi di Noto. Alla Scala per programmare il prossimo anno pastorale Casa Don Puglisi

Da alcuni anni la diocesi di Noto pensa all’anno pastorale integrando le varie dimensioni della vita cristiana (catechesi, liturgia, Caritas, famiglia e giovani) e, soprattutto, lasciando che a guidare il cammino sia il vangelo dell’anno liturgico: nel 2018-2019 sarà Luca. Da qui la scelta dell’icona de i discepoli di Emmaus, uno dei racconti evangelici più suggestivi in cui ci si può ritrovare, da parte di molti, quando si attraversano scoraggiamenti e quando, un incontro vero e vivo con Cristo (personale ma anzitutto comunitario), riscalda il cuore. Ed ecco che più di settanta animatori pastorali dei vari ambiti e vicariati si sono riuniti sabato 14 luglio al Santuario diocesano della Madonna della Scala, a Noto, per tradurre in cammino pastorale l’icona, presentata con grande saggezza all’inizio dell’incontro dal missionario don Gianni Treglia. Quattro passaggi del racconto di Emmaus diventano l’orizzonte per passi concreti nei quattro tempi dell’anno: l’inizio quando si ricomincia, l’Avvento che culmina nel Natale, la Quaresima e la Pasqua, il tempo pasquale. Ebbene il primo passaggio è una consapevolezza: come i discepoli di Emmaus che fuggono da Gerusalemme (centro costante di tutto il cammino di Gesù, luogo rivelativo di Dio nella Pasqua di Gesù) anche noi rischiamo, se ci ripieghiamo su noi stessi, di sbagliare direzione. Per questo si sono pensati passi di discernimento, alla luce anche di documenti come l’Amoris Laetitia, per ritrovare quell’identità solida di una fede integra, non ridotta ad emozione o ragionamento intellettuale, fede integra che diventa grembo di impegno responsabile. Il messaggio riguarda la comunità cristiana ma riguarda anche tutti, in tempi in cui prevalgono precarietà e linguaggi aspri ed escludenti: occorre ritrovare la propria identità piena di uomini! Avvento e Natale diventano un secondo passaggio, in cui ricordarsi che Dio, nel nostro cammino sbagliato, prende la decisione di farsi accanto. Ed ecco che siamo chiamati anche noi a farci accanto, a rigenerare tessuti di relazioni. Come accade quando si accoglie un povero o un migrante: si diventa comunità insieme gli uni gli altri cuore a cuore, comunità che si fa accanto a chi resta ai margini, comunità che fa sentire accanto Dio a tutti ma con una particolare possibilità di raggiungere il cuore dei giovani. Il terzo passaggio, in quaresima, è il cuore che si riscalda, è l’eucaristia che non si separa dalla vita: “La capacità di ascolto della realtà del mondo – ha sottolineato padre Treglia -, di incamminarsi con essa, anche e soprattutto nelle situazioni apparentemente di lontananza da Dio, di dolore, peccato, estraneità alla comoda consuetudine; la capacità di lasciarsi interrogare dal mondo al quale non solo ci accostiamo, ma nel quale viviamo; la capacità di leggere la vita alla luce della Parola, e la Parola nelle situazioni della vita; la disponibilità ad amare profondamente tutto questo e, quindi, ad accogliere l’”altro” di Dio pienamente nella vita permette a quel pane spezzato di divenire vero segno sacramentale, dono di vita, vita per tutti”. Ed ecco che il quarto passaggio, nel tempo pasquale, diventa una comunità capace di comunicare gioia, di generare festa inclusiva. Clima fraterno e gioioso che si respirava nell’incontro, insieme ad una ricchezza di vita e di proposte che saranno riprese e tradotte in un sussidio unitario ma, soprattutto, in un cammino corale responsabile e sinodale, ovvero un cammino insieme! E così si corrisponde nella sostanza all’invito del vescovo Mons. Antonio Staglianò di riprendere e verificare il sinodo diocesano: anzi lo si rivive! E si avverta forte la consolazione di un Dio che sta con noi e continua, nel forestiero, a dirci la sua alterità che diventa vera vicinanza e ci impegna a contrastare ogni forma di esclusione e chiusura.

Ecco il testo integrale della riflessione di don Gianni:

 

 

I discepoli di Emmaus
L’altro di Dio, forestiero, riaccende il cammino
Luca 24,13-35.36

 

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.  28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro…

Il racconto dei “discepoli di Emmaus” è tipico dell’evangelista Luca che, con grande abilità letteraria, ha concentrato in esso tutta la sua teologia, quasi una sintesi di tutto il Vangelo, Vangelo nel Vangelo. In esso si trovano tutti i temi principali del suo Vangelo:

  • I discepoli sono in cammino e Gesù cammina con loro.
  • Senza l’intervento del Cristo risorto sono incapaci di capire il senso della storia di Gesù e anche della propria.
  • L’incontro personale con Gesù cambia il discepolo: dalla tristezza lo porta alla gioia; gli apre gli occhi alla comprensione; lo rende capace della missione cristiana.
  • L’ascolto della Parola è lo strumento privilegiato per la formazione dei discepoli.
  • Alla luce del Cristo risorto la comunità cristiana capisce il senso delle Scritture e comprende il progetto di Dio.
  • Ma la comprensione piena si ha nel momento sacramentale del Pane spezzato, cioè della celebrazione eucaristica.
  • L’incontro autentico col Cristo fa iniziare un altro viaggio, il viaggio verso Gerusalemme come quello di Gesù, per testimoniare a tutti che “Egli è vivo!” e dalla croce nasce la salvezza.

È certamente uno fra i brani più suggestivi e, per certi versi, più aderente alla nostra realtà di persone in cammino, certamente con molte certezze, ma spesso vittime di dubbi, perplessità, interrogativi e desideri.

Ripiegati su sé stessi si sbaglia direzione

 

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sessanta stadi da Gerusalemme, di nome Emmaus

I due discepoli erano partiti con entusiasmo dal loro villaggio di Emmaus dopo aver sentito parlare del rabbì di Nazareth, erano stati con lui, avevano ascoltato il suo insegnamento e visto i miracoli che faceva, si erano illusi che “fosse lui a liberare Israele”. Ma la cattura, la condanna e la morte in croce non avevano lasciato più nessun margine alla speranza: in quello “speravamo” sono espressi delusione, avvilimento e rassegnazione. Ormai non restava che tornare a casa. La strada che avevano battuto per allontanarsi dalla grigia quotidianità del villaggio, ora la ripercorrono opposta, “con il volto triste”: non c’è più niente da fare, i prepotenti hanno sempre la meglio, il potere spegne i sogni, i progetti di liberazione si infrangono contro gli scogli dell’oppressione.

È un cammino in discesa perché Gerusalemme è in alto e da qualunque parte si vada ci si allontana verso il basso; è una strada di ritorno, è un riflusso nel privato. I discepoli stanno tornando a casa, stanno andando verso il basso volgendo le spalle a Gerusalemme che è invece la meta. Si stanno allontanando, stanno riprendendo la vita normale, stanno dimenticando quello che è successo… è una fuga dal Crocifisso!

“Un senso di precarietà e di debolezza avvolge molte aspirazioni, pensieri e comportamenti. È prevalente una cultura rinunciataria e frammentata, ripiegata sul privato o tesa unicamente al profitto, incapace di grandi progetti e di coraggiose spinte ideali” (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per gli anni ’90. Evangelizzazione e testimonianza della carità, 08.12.1990). Il ripiegamento al privato, indice di una cultura individualista, porta a una “soggettivizzazione” della fede, per cui la verità cristiana viene recepita e considerata valida soltanto nella misura in cui corrisponde alle proprie esigenze e soddisfa al bisogno religioso del singolo. Si vive così l’esperienza della divisione fra ciò che si capisce con la ragione e ciò che si prova come emozione, fra quello che si pensa e come ci si comporta, fra le esigenze della verità e l’ebrezza della libertà senza regole, fra intelligenza e passione. La speranza risulta così frammentata e non si trovano più le forze per spendersi totalmente e con continuità per un ideale: la crisi di identità provoca crisi di impegno, e perciò diventa difficile assumere impegni che durino per sempre, con fedeltà e amore per tutta la vita.

Un forestiero si unisce nel cammino

 

Proprio Gesù, egli in persona, si accostò, si fece vicino, e con-camminava

Luca volutamente adopera questa bella espressione per indicare che il Signore risorto cammina insieme, con-cammina, condivide il loro cammino, si fa viandante e pellegrino insieme con loro, addirittura nella direzione sbagliata. Anche i verbi usati esprimono perfettamente la continua presenza del Signore al fianco dell’uomo disponibile all’ascolto (si accostò, con-camminava).

Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Questo è il compito del vero animatore, educatore: ascoltare e fare in modo che l’altro possa esprimere le proprie ansie e possa spiegarsi bene.

L’iniziativa dell’incontro è presa da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, ma quasi accettano il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla libertà dei discepoli, che, dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia dell’uomo. Gesù fa questo senza dire cose nuove. Ma sono cose che avevano bisogno di sentirsi ridire e che assumevano, in quel determinato momento e in quella specifica situazione, un significato nuovo.

È per questa ragione che i due, a loro volta, lo ascoltano e lo lasciano parlare: perché si tratta di parole che aprono, spiegano, illustrano, indicano, fanno vedere gli eventi della vita, anche i più oscuri, in un modo nuovo e pieno di speranza. La luce è data da quella che all’inizio, per loro, era la pietra d’inciampo: la croce!

 “Non bisognava che…”? Se da un lato la morte di Gesù è il naturale epilogo della sua prassi di profeta che entra in conflitto con le guide religiose del popolo, che contrasta gli aspetti fondamentali della religione (il sabato, la purità, la legge, il tempio…), dall’altro il verbo “bisognava” sottrae la morte di Gesù alle leggi del fato, della natura o della politica per assumerla direttamente nella decisione libera, sovrana, gratuita di Dio. Quello che era il punto di inciampo, lo scacco insormontabile, ora è rivissuto in termini salvifici: la morte (croce) è il massimo momento rivelativo di Dio, è il passaggio obbligato per poter entrare nella gloria del Padre.

Riconosciuto nello spezzare il pane

 

“Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro.

Ed è così che, arrivati a destinazione, con semplicità e serenità gli dissero: “Perché non ti fermi con noi?”. È molto bella questa richiesta, la richiesta di restare, di rimanere. Se ci pensiamo è ciò che avvenne, con inversione delle parti, all’inizio della vita pubblica di Gesù. Due discepoli lo seguono, egli si volta e dice loro: “Che cercate?” – gli dissero: “Maestro, dove abiti?” – egli rispose: “Venite e vedrete” – essi andarono, videro dove abitava e stettero con lui quella notte. Lo stare, il rimanere è il segno più eloquente della conoscenza.

Nell’accostarsi e camminare con loro, Gesù non è riconosciuto, è ritenuto estraneo ai fatti di Gerusalemme, forestiero. La disponibilità a lasciarsi accompagnare, all’ascolto della parola, all’accoglienza dell’altro che è estraneo, forestiero, permette al cristiano di “fare Eucarestia”. La capacità di ascolto della realtà del mondo, di incamminarsi con essa, anche e soprattutto nelle situazioni apparentemente di lontananza da Dio, di dolore, peccato, estraneità alla comoda consuetudine; la capacità di lasciarsi interrogare dal mondo al quale non solo ci accostiamo, ma nel quale viviamo; la capacità di leggere la vita alla luce della Parola, e la Parola nelle situazioni della vita; la disponibilità ad amare profondamente tutto questo e, quindi, ad accogliere l’”altro” di Dio pienamente nella vita permette a quel pane spezzato di divenire vero segno sacramentale, dono di vita, vita per tutti.

I due discepoli riconoscono nel pasto un Gesù che ben conoscevano: il Gesù che si dona nella comunione della mensa, il Gesù del pane donato a tutti, che mangia con i peccatori, con i farisei, con gli amici, che chiede al Padre il pane quotidiano, che si consegna alla memoria degli amici nel pane spezzato. L’amore, il perdono, la pace, il dono di sé, la condivisione, il servizio permettono di fare esperienza di risurrezione, di comprendere che il morto è vivo, che la morte è vinta.

Riconoscere Gesù è partire, è missione

 

E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme… Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro

Gli occhi si aprono, il cuore è ardente, ma Gesù sparisce dalla vista. Nella magistrale architettura di Luca, gli occhi dei discepoli prima della frazione del pane non riuscivano a “vedere” Gesù che pure era presente, mentre lo riconoscono proprio ora che lui sparisce dalla loro vista. È una nuova economia di salvezza che si apre, con il Cristo presente non più di persona, ma nei segni sacramentali e nella testimonianza della comunità.

La decisione è immediata: si rimettono in cammino su quella stessa strada che li aveva visti sconfitti. E Luca sottolinea “Partirono senza indugio”. È il momento della missione: il Cristo risorto si è consegnato ai discepoli ed essi ne divengono i testimoni: “Di questo voi siete testimoni” (Lc. 24,48).

Tutti i racconti di resurrezione terminano con l’invio in missione. I due discepoli volevano fermarsi ad Emmaus, ma il risorto li ha condotti sulla strada della missione. Torneranno a Gerusalemme e da Gerusalemme la missione continuerà finché ad ogni uomo sia annunciato il Vangelo: “Avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At. 1,8).

Ecco l’insegnamento per noi oggi: balzare in piedi, lasciare la mensa, correre nel buio per gridare a tutti: “Il Signore è veramente risorto! Noi l’abbiamo visto”. Gesù ha acceso il cuore ed i discepoli non riescono più a contenere l’ardore: sentono il bisogno di comunicarlo agli altri. È fonte di commozione e di responsabilità sapere che Gesù chiede la nostra collaborazione per raggiungere gli altri uomini. Con la sola certezza che nella misura in cui ciascuno riesce a parlare del suo incontro personale con il Cristo Crocifisso Risorto, a testimoniarlo con la sua vita, con le sue opere, … Gesù in persona stette in mezzo a loro! Non una visione, non un miracolo, se non il cristiano che ha “compreso” la Croce.