Il costo sociale del cacao e la dignità del lavoro

Il costo sociale del cacao e la dignità del lavoro

Il costo sociale del cacao e la dignità del lavoro 2049 2560 Casa Don Puglisi

Dalla raccolta della fava alla tavoletta di cioccolato: la filiera del cacao vive meccanismi che contengono ingiustizie e disfunzioni.

Il giornalista Luca Rondi per Altreconomia è stato in Costa D’Avorio, luogo reale ed emblematico di produzione ed esportazione, da cui nasce il caso studio condotto da Mani Tese all’interno del progetto Food Wave.

In attesa di incontrare Rondi, il prossimo 5 agosto a Modica, iniziamo ad avventurarci tra le fila di un mondo spesso a noi sconosciuto. In questo stralcio del suo reportage leggiamo come in Costa d’Avorio il cacao sia coltivato (per ragioni storiche e di diritto fondiario) su terreni al 97 per cento pubblici e per sfruttamento (lo Stato permette l’uso delle terre pubbliche a condizione che queste siano utilizzate per coltivazioni perenni). Il Consiglio caffè e cacao fissa prezzi bassi per i produttori, influenzati dai futures. La gestione opaca dei profitti e la concentrazione del mercato in poche aziende peggiorano la situazione e, in più, il cacao venduto spesso non è tracciato e la qualità non è prioritaria.

Per capire a fondo la filiera del cacao di oggi serve fare un passo indietro di un secolo. Il cacao, infatti, non è una pianta autoctona ma importata a fine Ottocento dai coloni che rientravano dall’America Latina -non a caso una delle varietà più diffuse è l’amelonado, che si trova anche in Brasile- con degli effetti visibili ancora oggi. In rari casi, quindi, c’è un elemento “culturale” e identitario. Ci sono donne e uomini che producono da quarant’anni le fave ma non sanno quale sia il loro gusto, un dato che fotografa perfettamente questo aspetto.

“Sono due le ragioni per cui si produce cacao in Costa d’Avorio: una storica e una legata al diritto fondiario -ci spiega Michele Nardella, direttore della Divisione economia e statistica dell’Organizzazione internazionale del cacao (ICCO), con sede ad Abidjan e finanziata da 53 Stati con l’obiettivo di mettere in rete i Paesi che producono, distribuiscono e consumano cacao-. Solo il 2/3% del territorio ivoriano ha un proprietario: il resto è dello Stato che consente a chiunque il diritto di sfruttamento a patto che ci sia una coltura perenne. Chi ha il cacao, spesso piccoli produttori, lo fa esclusivamente per guadagnare denaro, mentre sul resto del terreno insistono le colture necessarie per la sussistenza”. L’analisi di Nardella è fondamentale per capire perché se il prezzo pagato per le fave è troppo basso, il rischio è che i produttori lo sostituiscono via via con altre colture che in quel momento sembrano redditizie: viaggiando lungo il Paese chilometri di monocolture di olio di palma e gomma caratterizzano il paesaggio. Per il primo si è passati da 45mila ettari nel 1961 a più di 362mila nel 2021 (+700%) mentre per il caucciù, invece, da appena 73 ettari a 451mila. Numeri non paragonabili, ancora, alle piantagioni di cacao (oltre quattro milioni di ettari) ma in significativa crescita.

È un segno dei tempi: qualcuno trova in cabosse e fave un elemento identitario – ne parleremo successivamente- per altri, invece, rischia di diventare una pianta come le altre. Soprattutto se la remunerazione per il lavoro svolto continuerà a essere così bassa. “I problemi sociali e ambientali sono legati all’insostenibilità economica e su questo, purtroppo, negli ultimi anni non c’è stato nessun cambiamento rilevante”, sottolinea Nardella.

A inizio ottobre 2023 il Consiglio caffè e cacao, l’ente parastatale di regolazione del mercato interno ivoriano che gestisce tutto il processo di produzione e vendita delle fave di cacao in Costa d’Avorio, ha fissato a mille franchi Cfa al chilogrammo (1,52 euro) il prezzo riconosciuto ai produttori per la raccolta principale della stagione che va da settembre a dicembre (la seconda, chiamata la “piccola raccolta”, si fa tra aprile e giugno). Nonostante un aumento dell’11% rispetto al 2021-2022, l’importo resta bassissimo. Il prezzo fissato sul mercato dei futures, a Londra e New York, che subisce l’influenza delle scommesse degli investitori, diventa il parametro di riferimento delle autorità ivoriane che a loro volta stabiliscono le ricompense per ogni soggetto che interviene nella filiera interna al Paese: chi produce, chi gestisce i magazzini di stoccaggio e chi esporta. “Il prezzo fissato dal Consiglio si riferisce alle licenze di esportazione, non al prodotto cacao. Il cliente che vuole acquistarlo -continua Nardella- partecipa a quelle che sono di fatto delle contrattazioni bilaterali in cui compra a un certo importo un volume di fave semilavorate che però ‘fisicamente’ non esiste ancora. Perché sono quelle che verranno raccolte nella campagna successiva”.

Uno stratagemma che permette al governo ivoriano di avere una rendita costante di anno in anno, ma al tempo stesso scarsamente trasparente: non si sa come viene fissato il prezzo né, soprattutto, come viene utilizzato il reddito generato da tasse e rendite delle esportazioni, che restano nelle tasche del Consiglio. “Tutto quello che fa il Ccc non viene inserito nel bilancio dello Stato -aggiunge Francesca Di Mauro, ambasciatrice dell’Unione europea che incontriamo ad Abidjan- e questo significa che anche noi, a differenza di quanto avviene su altri temi con il governo ivoriano, non abbiamo molte informazioni rispetto a come viene utilizzato questo reddito”. La concentrazione del mercato nelle mani di pochi aggrava ancor di più i problemi descritti. Nel 2021 più di 3,6 milioni di tonnellate di fave di cacao, circa il 75% del totale, sono state vendute e processate da appena quattro tra aziende e grandi gruppi -Ofi, Cargill, Ecom, Barry Callebaut- ma meno del 50% aveva un’origine tracciata. In altre parole, non si conosceva l’origine di buona parte del cacao finito nelle barrette di cioccolato distribuite in Europa: l’obiettivo è la quantità, non la qualità. Anche perché spesso è lo stesso consumatore finale che non è disposto a spendere di più per l’acquisto delle tavolette o dei diversi prodotti a base di cacao (pensiamo ai cosmetici).