Un passo in più*
Un urlo dalla montagna, un rumore che viene dalla terra: così viene descritto il terremoto da coloro che lo hanno vissuto. Fare ascolto, stare con le persone, far vedere che qualcuno è disposto a spendersi per loro sembra essere l’essenziale: magari aiuta a tirar fuori un sorriso o ad allontanare per un po’ l’istinto di andare via da un paese che non si percepisce più come proprio. Il motore che aiuta a ripartire è la sensibilità degli esseri umani, la volontà di tessere relazioni, di andare incontro, di fare insieme un passo in più in quelle situazioni in cui sarebbe più semplice rimanere fermi o tirarsi indietro ed arrendersi.
I fiori nati dalle macerie
A Paganica iniziano a vedersi una o due gru, e per chi vi abita è un buon segno: significa che da qualche parte la ricostruzione è iniziata. Gli archi e i vicoli del corso principale rimangono, tuttavia, puntellati, le stradine più interne chiuse da transenne, con le case disabitate perché inagibili. Ma il tempo sembra essersi fermato solo qui, perché nella frazione aquilana risiede una comunità forte, che dall’unione ha tratto la capacità di reagire. Questo lo si apprezza, ad esempio, partecipando alla processione che tradizionalmente ha luogo il giorno dell’Ascensione del Signore, quest’anno il 13 maggio: giovani e meno giovani partecipano, sostenuti dalle note della banda musicale, portando a spalla la statua del Cristo dalla Chiesa degli Angeli Custodi al Santuario della Madonna d’Appari. Occasione preziosa, ed inaspettata, per conoscere nuova gente ed intrattenersi nell’ascolto di nuove storie. Don Dionisio e Alfredo ci sottolineano l’importanza di tornare ogni volta che possiamo, perché quella ormai “è casa nostra” e vederci fa bene sia a loro che a noi.
La natura non è solo fonte di sofferenza: la purezza dell’aria montana che si respira presso l’antico borgo disabitato di San Pietro della Ienca permette di fermarsi, confrontarsi con se stessi e con la vastità del paesaggio circostante. Un’opportunità di sosta e di ricarica, proprio come l’incontro con le Clarisse: ci accolgono nel loro piccolo convento di legno, ci aiutano nella preghiera e nel riordinare i pensieri, e l’armonia delle loro voci unite in canto è un valido sostegno interiore. Proprio una di loro definisce il legame che unisce la nostra diocesi con Paganica come un “fiore nato dalle macerie”.
Le scarpe impolverate
Il giorno successivo capiamo, ancora una volta, che gli articoli sui quotidiani o i servizi dei telegiornali non sono mai sufficienti a trasmettere la gravità di un evento: ad Amatrice le macerie rimangono, a distanza di quasi due anni, accumulate ai margini della strada principale, da poco riaperta al traffico. Il cancello di ogni casa sfuggita al crollo è chiuso da catena e lucchetto; il primo piano di ogni palazzo ha i muri talmente squarciati da poter vedere l’interno dell’appartamento; della chiesa quattrocentesca di Sant’Agostino rimane solo la facciata. Gli abitanti del comune reatino vivono adesso nelle S.A.E. (Soluzioni Abitative di Emergenza) ed hanno individuato nel parroco, don Savino D’Amelio, un punto di riferimento affidabile al quale chiedere ogni tipo di aiuto. Con lui ci fermiamo a parlare presso il centro prefabbricato della Caritas: ci spiega in maniera attenta e dettagliata le conseguenze del sisma, una su tutte la difficoltà della gente a rimanere in un paese che non offre più nemmeno la possibilità di comprare i beni di prima necessità, se non facendo svariati chilometri. Ogni lunedì, però, responsabilmente si riunisce con la guida della sua diocesi, mons. Domenico Pompili, il quale sostiene che “la ricostruzione delle case ha senso solo se fatta in parallelo con la ricostruzione delle vite e degli animi delle persone. Sono dimensioni distinte, ma non separate: l’una sostiene l’altra”. Abbiamo, quindi, l’occasione di conoscere il vescovo di Rieti, un pastore capace di ascoltare e che ha accettato di impolverarsi le scarpe per stabilire un contatto diretto con la sua gente. A pochi passi il parco giochi “Don Giovanni Minozzi”, restaurato e simbolo di rinascita, custodisce al suo interno uno spazio di memoria a ricordo delle oltre duecento vittime, con i loro nomi di battesimo impressi su una tela.
Il campanile della parrocchia, definitivamente crollato dopo la settima scossa di terremoto, è stato sostituito da una piccola impalcatura su cui è stata posta la campana, simbolo di quotidianità che detta i tempi delle giornate.
Walter Spadaro
* Il titolo dell’articolo riprende l’omonimo documentario sul terremoto visionabile sul canale YouTube di Caritas Marche.