È stato don Giuseppe Di Stefano a presiedere la messa per la città di questo mese, nella chiesa del Sacro Cuore. A concelebrare con lui i missionari della comunità intercongregazionale, don Vittorio e don Carlo. L’intenzione della messa del mese di gennaio è stata riservata ai giovani, per questo a presiedere la celebrazione eucaristica è stato don Giuseppe, direttore dell’Ufficio diocesano della pastorale dei Giovani. Nell’omelia, don Giuseppe ha parlato di amore e di servizio. Un amore che “richiede totalità”, per questo – ha detto – “chiediamo la grazia di fare tutto per amore e con amore e senza altri fini. Per amore di Dio che ci ha chiamati amici”. Tante le persone presenti alla celebrazione, animata dalla corale della parrocchia. Al termine della messa il consueto momento di adorazione eucaristica. Cristian Modica, impegnato nei Centri d’ascolto Caritas e al cantiere educativo ‘Crisci ranni’, ha portato dinanzi a Gesù eucarestia la preghiera degli educatori, “le fatiche e le sofferenze”, perché “è bello educare, ma è anche difficile metterci all’altezza dei bambini ed evitare risposte facili davanti ai loro problemi. Ti offriamo i nostri sogni, Signore, stacci sempre accanto nel cammino che ci vede impegnati accanto ai bambini e ai ragazzi”. Una giovane ha pregato per il mondo della scuola e dell’università, perché le istituzioni scolastiche siano animate sempre da “studenti e insegnanti motivati”. La difficoltà e lo sconforto per il lavoro che manca nella preghiera di un altro giovane, che ha riportato l’esperienza di un suo coetaneo. “Un giovane partito perché qui non trovava lavoro, finalmente fuori si è sentito utile e apprezzato. Ma ha pagato il peso della solitudine… Ora è tornato qui: contratti irregolari, anche dodici ore di lavoro, lunghi periodi senza occupazione e senza certezze. Preghiamo perché, anche grazie al progetto Policoro, si riesca a dare speranza ai giovani, che possano rimanere nella loro terra, con progetti di imprenditorialità giovanile efficaci, in un’ottica di legalità e sussidiarietà”. In un’altra preghiera l’attenzione per i giovani che soffrono, i giovani poveri: “Ti chiediamo per noi, Signore, i doni della prossimità e della sapienza. Riscatta la sorte dei giovani perseguitati per la loro fede e per il loro coraggio… Ti preghiamo per i giovani che soffrono: spiegaci, Signore, perché un giovane soffre così, spiegalo a noi, ai nostri genitori, ai nostri amici e, fino a quando non avremo capito, in queste lacrime non abbandonarci”. Don Giuseppe ha poi concluso il momento di adorazione con una breve preghiera che sa d’impegno: “Donaci, Signore, la grazia di un amore che sa donarsi”.
Ecco il testo dell’omelia di don Peppe Di Stefano:
In questa Celebrazione eucaristica, un po’ più solenne rispetto a quelle a cui siamo abituati a partecipare durante la settimana, sono radunate insieme le realtà giovanili, le realtà legate alla Caritas, al progetto Policoro e ai Cantieri educativi della nostra città.
Siamo tutti qui riuniti per fare qualcosa che agli occhi del mondo sembrerebbe di “poco conto”, poiché al posto di tenere un incontro ai giovani o dedicarci al servizio degli ultimi, noi insieme pregheremo. Ma questa apparente pochezza, non ci inganni, perché mentre celebriamo l’Eucaristia – così ci ricorda il Concilio – esprimiamo ad un tempo la più alta forma di preghiera e di servizio che la Chiesa possa compiere. Ora, in questo momento, siamo immersi in un dinamismo unico, composto dall’elevazione della nostra umile lode al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito, e dalla discesa di “qualcosa di nuovo” su di noi: la Grazia. Cos’è la Grazia? Spiegarlo ora sarebbe un po’ difficile, ma possiamo dire che si tratta di un intervento speciale di Dio nella nostra vita, che scendendo nella nostra esistenza, insieme alla Sua presenza ci feconda con la Grazia della Sua amicizia, della Sua forza, della Sua somiglianza.
Oggi, mentre preghiamo per i nostri giovani, chiederemo al Signore una grazia particolare, quella di: “Annunciare alle genti le ricchezze di Cristo” (I lettura).
Cominciamo col chiederci: “Quali sono le ricchezze di Cristo?” e “Come fare ad annunziare questa ricchezza?”. Rispondo subito alla prima domanda. Il Signore non era ricco di denaro o di potere, in quel caso avrebbe avuto al Suo seguito molte più persone. E neanche la popolarità è stato l’obiettivo di Colui che con le Sue parole riusciva perfino a disperdere i suoi discepoli (vd. Gv 6, 66)! L’unica ricchezza di Cristo è la conoscenza del Padre. Il Signore Gesù conosce così intimamente, così da vicino e così minuziosamente il vero volto del Padre, che questa confidenza lo ha reso ab eterno l’Unigenito Figlio. Questa ricchezza che solo Lui possiede – che è Sua e che nessuno Gli può togliere -, questa ricchezza Cristo l’ha fatta conoscere a noi. In che modo? Nelle dieci righe di Vangelo che abbiamo ascoltato stasera la parola Amore ricorre ben nove volte! Abbiamo allora buone ragioni di pensare che il vero volto del Padre sia proprio questo: l’Amore. Conoscere il Padre significa conoscere che Egli è Amore. Ma questa definizione – tipicamente giovannea – potrebbe indurci ad un equivoco, infatti, la parola “amore” può significare tutto e il contrario di tutto (come tragicamente dobbiamo constatare oggi).
Ed ecco che ci viene in aiuto la nostra seconda domanda: “Come si fa a conoscere e ripetere (annunciare) questo grande insegnamento del Figlio di Dio?”. Per spiegare questo, mi farò aiutare dal santo odierno: san Francesco di Sales. Il santo Vescovo di Ginevra amava parlare di “devozione”, non tanto in riferimento alla vicinanza o all’emulazione di un santo piuttosto che di un altro (significato comune), quanto piuttosto «all’agilità e alla vivacità spirituale, attraverso cui l’amore agisce in noi» (vd. Filotea). Insieme a Francesco, potremmo dire che se l’Amore è il fuoco, la devozione ne è la fiamma! Senza devozione, l’amore rimarrebbe inutilizzabile. Dunque la devozione è esattamente la condizione affinchè l’amore diventi visibile. Questo senso rimane anche nel linguaggio comune, ad esempio noi modicani per devozione – appunto – alla Madonna delle Grazie, il giorno della Sua festa ci alziamo prestissimo per compiere il pellegrinaggio mattutino, e in quest’atto importante e faticoso noi esprimiamo e facciamo vedere il nostro amore nei confronti di Maria.
La devozione, ricapitolando, mostra con agilità e vivacità l’amore. Ma quali sono le opere della devozione, di quest’amore che è dovuto tanto a Dio quanto ai fratelli? San Francesco di Sales non parla di opere facili o banali, ma nel testo della “Filotea” elenca: digiuno, preghiera, sopportazione, servizio agli ammalati o ai poveri, veglie, autocontrollo della collera, dominio delle proprie passioni, rinuncia alla sensualità; affermando che chi mette slancio (o devozione) nell’amara pratica di queste cose, vi troverà piacere, dolcezza e letizia. Questo è il grande miracolo che accade quando nelle nostre opere non mettiamo solo la testa o le braccia, ma soprattutto il cuore. Si, l’Amore fa miracoli. Eppure non è sempre scontato che le cose buone che noi facciamo siano mosse dall’amore, infatti, spesso demordiamo facilmente da esse perché ci appaiono come un peso e un affanno, procurandoci ansia e un desiderio di fuga. Questi sentimenti sono sintomo di poco Amore. Chi ama davvero, invece, fa un po’ il lavoro dell’ape, che pur mangiando l’amaro polline lo sa trasformare in qualcosa di dolcissimo. Lo stesso Cristo che ha preso i nostri peccati restituendoci la redenzione; ecco basti pensare a questo per vedere che grandi miracoli compie l’Amore. Francesco, ancora, amava dire che questo desiderio di fare di più (o devozione) è una sorta di “zucchero spirituale”: «toglie rabbia ai poveri e le preoccupazioni ai ricchi; toglie la desolazione all’oppresso e l’insolenza al preferito; la tristezza a chi è solo e la dissipazione a chi è in compagnia. È come fuoco d’inverno, è come rugiada d’estate. Sa affrontare la povertà e trova utile allo stesso modo l’onore e il disprezzo» (vd. Filotea). Insomma, proprio come lo zucchero, l’Amore sa rendere dolce ogni cosa.
A questo punto finiamo per domandarci: “Chi può fare questo? Chi può amare in questo modo?”. Il Signore sembra risponderci nella pagina del vangelo di oggi: «Io ho scelto voi – e aggiunge – e vi ho costituiti perché portiate frutto». Come a dire: “Io vi ho scelto e vi ho messi in un posto affinchè lì portiate frutto. Ovunque, in qualsiasi situazione. Poiché non c’è luogo in cui l’Amore non possa regnare”! Non abbiamo scuse per tirarci indietro da questa grande chiamata a stare in un luogo, in una situazione e lì essere fecondi portando frutto! E quando sarà faticoso, amaro e difficile ricordiamoci delle api, che hanno imparato a cambiare l’amaro in dolcezza. Ad essere importante, in conclusione, non è tanto quello che facciamo, ma quanto Amore abbiamo deciso di perderci dentro. Poco? Molto? Assolutamente. O tutto, o niente! O decidiamo di amare o di non farlo, altrimenti sarebbe come offrire un frutto morsicato… Il Signore ci ha insegnato che la misura dell’Amore è la totalità «senza misura» (sant’Agostino), e questo ci è stato insegnato affinchè la Sua gioia sia in noi, e la nostra gioia sia piena (cfr. Vangelo).