Ripartenza. Inclusione. Bisogno. Empatia.Squadra.
Il 16 dicembre abbiamo concluso il percorso di RIBES (Risorse integrate per il bisogni educativi speciali), progetto grazie al quale in questi anni abbiamo potuto sperimentare la forza di compiere atti educativi, di creare percorsi di affiancamento familiare, di immettere vitamine nella scuola.
“Non si vede che con il cuore” è stato il titolo che abbiamo scelto per il convegno dedicato alle consegne, per dire perché che vogliamo lasciare una traccia sul territorio di un’attenzione ai bambini che passi per un cuore sensibile e per un tessuto di relazioni che sostenga la famiglia e la scuola.
“Coltiva il mio cuore, perché lì c’è il genio!”: fin dall’inizio, nel saluto della prof. ssa Giusy Sipione, a nome dell’Istituto comprensivo Santa Marta Ciaceri di Modica, l’incontro conclusivo del progetto Ribes ha permesso di comprendere come sia importante ritrovare “ciò che, invisibile agli occhi, è visibile al cuore”, ovvero lo sguardo attento e ricco di calore che aiuta a crescere.
Il progetto, volto a offrire risposte innovative a quelle zone grigie della scuola che sono i bisogni educativi speciali, si è sviluppato attraverso una rete nazionale coordinata dalla Fondazione Caritas di Pescara e finanziata dalla Fondazione “Con i bambini”, ed ha avuto come soggetti attuatori nel nostro territorio la Caritas diocesana e la Casa don Puglisi. Concretamente si sono attivati, nel corso di quattro anni, interventi attenti, non solo ai bambini più fragili, ma all’intera classe offrendo, attraverso laboratori espressivi, “vitamine per la scuola”. Contemporaneamente attraverso patti educativi e affiancamenti familiari, in cui anche la famiglia affiancata ha dato qualcosa, si sono rafforzati tessuti relazionali e affettivi.
Un progetto che si è realizzato in gran parte nel momento difficile della pandemia, che ha colpito soprattutto i bambini più fragili e lasciato tante ferite da sanare. Un progetto che può continuare – ha detto il direttore della Caritas diocesana, Fabio Sammito –, ricordando una sperimentazione pastorale realizzata nella nostra diocesi insieme a Caritas italiana (“L’ottavo sacramento”) con cui, a partire dal disagio colto tra i bambini del catechismo, i percorsi coinvolgevano la parrocchia, le famiglie, la scuola. Si tratta di progetti che diventano “un nutrimento per il futuro” – ha sottolineato il pedagogista Giordano Barioni, della Fondazione Paideia, che ci ha aiutato a comprendere il valore dello sguardo, o meglio la bellezza dello sguardo. Che parte dagli occhi e arriva al cuore, dentro la consapevolezza che, nelle relazioni, bisogna sempre ‘pedalare’ e che l’ambiente è sempre nuovo: citando Danilo Dolci, Barioni ha ricordato come “ciascuno cresce solo se guardato”, ma ha anche avvertito come sia importante non fare dell’altro il nostro sogno (il timbro resta quello del possesso e del bisogno), ma coltivare il bi-sogno, un sogno in cui l’altro può rimanere se stesso. Ricordando l’episodio biblico di Noè che, ubriaco, viene indicato sghignazzando dal primo figlio e invece coperto con il mantello dagli altri due figli camminando all’indietro, ha sottolineato come sia importante la consapevolezza che tutti quanti non siamo mai completamente puliti e per questo è importante donarci l’un l’altro sguardi liberi e liberanti. Chiedendoci quanto tempo passiamo a sottolineare gli errori e quanto a sottolineare le cose buone.
Un incontro vicino al Natale, non perché tenuto il 16 dicembre, ma perché ha dato alla bontà natalizia (talora troppo ‘sentimentale’) la sostanza di sguardi e di pensieri generativi di bene e di percorsi possibili che molto assomigliano a quelli che portano alla capanna/casa di Betlemme.