Le donne del cacao: storie di riscatto

Le donne del cacao: storie di riscatto

Le donne del cacao: storie di riscatto 2560 1440 Casa Don Puglisi

Assata Doumbia, Estelle Konan, Adiba: la loro storia ha un filo in comune ed è il cacao.

Tre donne coraggiose che si sono ribellate al sistema del villaggio, rivendicando non soltanto il diritto di essere lavoratrici indipendenti, ma anche capaci di battersi per una filiera, quella del cacao, incapace di premiare la qualità.

Dalla loro storia emerge una responsabilità che tocca anche noi, in quanto consumatori di cioccolato.

Ne capiremo di più insieme al giornalista Luca Rondi che il prossimo 5 agosto, a Modica, ci condurrà tra i sentieri del suo reportage in Costa D’Avorio. Insieme a lui anche Andrea Mecozzi, fondatore di Chocofair.

Qui di seguito leggiamo un estratto dal caso studio condotto da Mani Tese all’interno del progetto Food Wave, a cura del giornalista Luca Rondi/Altreconomia.

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“La scuola mi ha salvato”. Assata Doumbia non ha dubbi. Oggi, a capo di una cooperativa dal fatturato milionario, riconosce l’importanza dell’accesso all’istruzione che spesso viene negato alle figlie, per cui la “strada” della vita casalinga sembra prescritta in partenza. Prescrizioni contro cui Assata ha lottato tutta la vita. “Ho resistito alle pressioni della mia famiglia che mi voleva sposa quando ero ancora giovanissima, ho resistito all’invidia di tanti e alle facce contrariate degli uomini che non accettavano di dovermi ascoltare. Una donna, anche se è proprietaria di una piantagione, non ha il diritto di andare a ritirare il denaro, il guadagno”.

Così, di villaggio in villaggio, l’occhio della presidentessa è sempre attentissimo all’istruzione, soprattutto delle bambine.

A qualche decina di chilometri di distanza Estelle Konan, direttrice generale di Yosran è un’imprenditrice e mamma coraggiosa. Qui, nel Paese, non è scontato esserlo. E davanti ai produttori, soci della cooperativa, che oggi la riconoscono come una guida, traccia la via del futuro: “Noi coltiviamo in biologico non solo perché rispetta metodi naturali ma anche perché rispetta il suolo che abitiamo. Vogliamo lasciare le cose come e laddove le abbiamo trovate, nel loro habitat naturale. E siamo qua per assicurarci che questo succeda”.

Abiba, colonna portante del laboratorio di Choco+, nel 2018 lavorava come domestica: lo faceva per 30mila franchi al mese che non bastavano per prendersi cura di suo figlio, che oggi ha nove anni. Lo faceva per dovere. “Poi sono stata assunta nel laboratorio: qui ho imparato finalmente un mestiere e la prima volta che ho ricevuto lo stipendio mi sono messa a piangere. Non bastano ancora, 95mila franchi, ma è un sospiro di sollievo per me e mio figlio. Oggi ho cominciato anche una mia piccola attività in cui rivendo alcuni prodotti”. Oltre che nel laboratorio, Abiba settimanalmente va nei villaggi vicini a Grand Bassam, dove abita, per insegnare alle donne come si cucinano le fave di cacao. “Insegno loro perché è importante consumare anche questo alimento. E un giorno sogno di poter produrre delle tavolette che costino poco, al massimo cento franchi. Così che tutti i bambini possano assaggiare quel cacao che mi ha cambiato la vita”.

Queste non sono solo tre storie di donne coraggiose, capaci di sfidare le tradizioni locali, di mettere in discussione il ruolo di potere dei mariti, compagni, degli uomini dei loro villaggi, ma sono delle feritoie che aprono varchi di giustizia in una filiera, quella del cacao, incapace di differenziare, di premiare il “buono”, di dare il giusto spazio e riconoscimento alle loro grandi conquiste. E a quelle di tanti e tante che, come loro, continuano su una strada tracciata nel solco di un ambiente visto come casa comune di cui prendersi cura con professionalità e cura. Un cioccolato dal sapore giusto non è solo “possibile”. “Ci sono realtà solide che lavorano verso questa direzione -conclude Mecozzi-. Sta allora al consumatore europeo di oggi non accontentarsi più e fare la stessa scelta di tanti produttori: per sé, i propri figli e l’ambiente”.