Non c’è innovazione senza radici. Riflessioni sull’economia civile.

Non c’è innovazione senza radici. Riflessioni sull’economia civile.

Non c’è innovazione senza radici. Riflessioni sull’economia civile. 2000 897 Casa Don Puglisi

Casa Don Puglisi da trent’anni accoglie, fa crescere comunità e si fa promotrice di un’economia che faccia crescere beni comuni e relazionali.

Nelle nostre iniziative ci facciamo guidare dai principi dell’economia “civile”, volta al benessere e alla felicità comune.

Oggi ve ne parliamo con questo brano estratto da L’economia civile. Un’altra idea di mercato.

“La prima operazione da compiere per avvicinarsi all’Economia civile è immaginarla come una sinfonia. Non pensarla quindi come un trattato scientifico sistematico, né come un affresco da osservare e contemplare come opera compiuta e definitiva. La sinfonia, sebbene si basi su uno spartito scritto secoli fa, vive e rivive mentre la si esegue, con un ruolo essenziale degli interpreti, del direttore d’orchestra, e degli ascoltatori. È un «bene d’esperienza», il cui valore emerge soltanto mentre l’esperienza si svolge. Così l’Economia civile, che vive dall’accordo di più note e strumenti, antichi e nuovi, e che per essere compresa e apprezzata non deve essere ridotta a un solo motivo dominante, né alla partitura del solo primo violino o del pianoforte, che pur ci sono.

Si capisce allora che dire Economia civile è dire più cose allo stesso tempo, tutte co-essenziali, vive, diverse.

È una tradizione di pensiero e di opere. L’età dell’oro di questa tradizione è il Regno di Napoli nella seconda metà del Settecento, grossomodo tra Vico e la rivoluzione partenopea. Una tradizione antica, con alcune radici nella civiltà cittadina medioevale, nei suoi monasteri, nelle sue arti e suoi mestieri, nella tradizione francescana e domenicana. Altre radici arrivano fino al mondo greco e romano, alle loro areté/virtus, pólis/civitas, eudaimonía/felicitas publica.

Questa tradizione, italiana ed europea, antica e nobile, ha subìto una prima frattura con la Restaurazione dopo l’età napoleonica, e con il Risorgimento, quando tutto ciò che era accaduto in precedenza fu visto come ancien régime, espressione del feudalesimo, compresi scrittori e filosofi. La frattura non ha determinato la morte di questa tradizione, ma solo il suo inabissamento nel profondo della nostra cultura; di tanto in tanto è riemersa dando vita a importanti fenomeni economici e sociali (come quello cooperativo, i distretti industriali, l’esperienza Olivetti, l’economia di comunione…), e ispirando intellettuali ed economisti.

L’Economia civile, poi, è anche la via al mercato e all’economia di quella regione del mondo — l’Europa, in particolare l’Europa a matrice culturale comunitaria e latina — che non si è basata, come pietra angolare, sull’individuo e sulle sue libertà dalla comunità. Diversamente dalla tradizione della political economy, l’Economia civile è economia relazionale, sociale, «cattolica» nel senso etimologico che ci svelerà Fanfani.

Ancora, l’Economia civile, essendo un albero antico ma ancora vivo e capace di portare fiori e frutti, come l’ulivo secolare delle nostre terre, è anche uno sguardo sul nostro tempo, un giudizio critico per renderlo migliore. Per questo è anche policy, lavoro, finanza, banche, imprese. All’Italia di oggi mancano tante cose perché manca una grande narrativa delle sue radici e quindi del suo futuro. Non si danno innovazioni senza radici e alberi — non dimentichiamo che «innovazione» è la parola che si usa in botanica per i nuovi germogli. L’Italia, perdendo negli ultimi decenni contatto con le radici umaniste e con l’albero dell’Economia civile, non innova più. Infine, l’Economia civile è anche una grande narrativa sulla vocazione e sul destino del nostro paese, sul suo passato, sull’oggi, sul suo domani”.

(Luigino Bruni e Stefano Zamagni, L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Il Mulino, Bologna 2015)