«Quale bellezza?» Domande che aprono cammini

«Quale bellezza?» Domande che aprono cammini

«Quale bellezza?» Domande che aprono cammini 2048 1536 Casa Don Puglisi

 

Su iniziativa di una rete di scuole (con l’Istituto Santa Marta Ciaceri di Modica come capofila) e di esperienze di solidarietà in campo educativo (Casa don Puglisi, Crisci ranni, L’Arca, insieme alla Fondazione Val di Noto), per il decimo anno, cento tra insegnanti e animatori hanno iniziato un corso di formazione. Si tratta di un corso “sui generis” perché generato non da obbligo, ma dal desiderio di una scuola che aiuti “a far fiorire umanità” e dal voler legare l’aratro della fatica educativa alla stella della bellezza.

Un corso che ha una dedica: ai ragazzi e ai giovani con i loro volti, con le loro fatiche e le loro solitudini, con la loro capacità di angosciarci e sorprenderci. E con il pensiero a quei giovani che non ce l’hanno fatta, nella speranza che tutta la città diventi capace di abbraccio e di consegne vere, perché si possa camminare donando “ali di riserva” a chi fa più fatica.

Durante il primo incontro del corso di formazione siamo partiti da questo interrogativo: “Quale bellezza?”
Non la bellezza parziale dei monumenti, non l’estetismo, ma la bellezza che sa incontrare la realtà ordinaria, che è anche e a volte anzitutto “brutta”.
Una bellezza che si recupera se lo sguardo diventa “intero” come quando si dice «che bella persona» cogliendo l’insieme e non un particolare.
Una bellezza che non resti foto singola ma diventi film che scorre raccogliendo tutti i pezzi, anche frantumanti e fragili della realtà, sapendo “tra-guardare”, sapendo cogliere le fioriture nascoste. Impegnandosi a “pro-gettare”, gettare il cuore oltre l’ostacolo. Accorgendosi, come ci insegna don Bosco, della bellezza delle stringhe delle scarpe del povero operaio. Una bellezza che «vale più di ogni lotta» (e la rende possibile e vera) e che «può salvare il mondo».

Sono stati maestri di maieutica educativa e testimoni, prima che relatori, Elena Granata (docente al Politecnico di Milano e vicepresidente della Scuola di economia civile) e Giordano Barioni (pedagogista, con tante esperienze sul campo e tanta sapienza).
Hanno ricordato una cosa tanto semplice quanto essenziale: non si può dare quello che non si ha!

L’educare è una consegna di vita.
L’educare è anche un “atto politico” se aiuta ad accogliere la realtà (comprese le nostre fragilità) e a coltivare quell’immaginazione che oggi viene spenta dall’uso continuo dello smartphone, ma che è necessario riaccendere.

«Immagina se» diventa quindi un esercizio al cambiamento, alla “curiosità”, che mette insieme anche la cura, l’opposto dell’assenza di curiosità a cui ci porta la società attuale!

Siamo chiamati a diventare “nuovi” e “veri”, senza cadere dentro il proprio io, ma riattivando ogni giorno il contatto con gli altri, partendo dalle somiglianze che precedono le differenze, e ci connettono gli uni con gli altri.

La solidarietà, che anche nella nostra Costituzione è un dovere di cittadinanza, non è una parentesi pietistica della vita: è la vita, la vita vera, in cui la fragilità nostra si accoglie e quella dell’altro si accompagna senza presunzione e senza giudizio. Tutti sono portatori sani di qualche problema, tutti sono capaci di relazioni!

Sono le relazioni che, ritrovate alle radici, ci rendono tessitura aperta al mistero e aiutano le città a diventare luoghi in cui la bellezza può ritrovarsi insieme a qualcosa e qualcuno che sempre ti aspetta, “toccandola”, ‘toccando’ le sue pietre, ‘toccando’ gli altri.

L’educazione civica diventerà quindi viva attraverso percorsi che, di anno in anno, a partire da corsi di formazione in cui gli insegnanti non “presumono” ma si interrogano, aiuteranno le nuove generazioni a ritrovare il proprio sé poetico, creativo, capace di “inventare i luoghi che abiteremo”.

Una speranza che si coltiva e una possibilità che si offre discretamente con le tre “e” dell’educare: l’empatia, che ci mette in relazione; l’emulazione, che ci spinge a sempre migliorarci; l’esperienza, che – con la spinta dello stupore – diventa cammino.
Che sia un anno scolastico, un anno sociale ogni volta, allora (e sempre più), “nuovo”.