Ripensare la cooperazione verso un’economia civile

Ripensare la cooperazione verso un’economia civile

Ripensare la cooperazione verso un’economia civile 2000 1331 Casa Don Puglisi

Oggi torniamo a riflettere insieme a voi sui principi dell’economia civile che ispira e guida le iniziative della nostra Casa, luogo di accoglienza, ma anche di ripartenza e di cooperazione. Ed è proprio di cooperazione, così importante nelle nostre iniziative volte a fare comunità, che si parla per immaginare una nuova storia da raccontare e da vivere, come ci spiega questo brano estratto da L’economia civile. Un’altra idea di mercato:

“L’Economia civile è un processo inclusivo biodiversificato. Non è un nome diverso per l’economia del non profit o del terzo settore, perché coinvolge e si rivolge all’intera economia, che guarda e giudica civile o incivile. Anzi, per le ragioni che in parte vedremo si pone in contrapposizione all’idea che esista una separazione tra economia for ed economia non profit, tipica dell’Umanesimo della political economy di matrice protestante. È uno sguardo sul mercato, di cui vede soprattutto la natura cooperativa. La cooperazione — o mutua assistenza, nel linguaggio di Genovesi — è infatti una nota caratteristica, e dominante, dell’idea di mercato dell’Economia civile. Sarebbe però un errore pensare che leggere il mercato come cooperazione sia una prerogativa della sola Economia civile. Tutti sappiamo, anche gli economisti (migliori) di ieri e di oggi, che le comunità fioriscono quando sono capaci di cooperazione. Se non avessimo iniziato a co-operare (agire insieme) la vita in comune non sarebbe mai iniziata, e saremmo restati evolutivamente bloccati alla fase preumana. Ma come spesso succede per le grandi parole dell’umano, anche la cooperazione è a un tempo una e molteplice, spesso ambivalente, e le sue forme più rilevanti sono quelle meno ovvie.

Tutte le volte in cui esseri umani agiscono insieme e si coordinano per raggiungere un risultato comune mutuamente vantaggioso, abbiamo a che fare con la cooperazione. Un ospedale, una liturgia religiosa, una lezione a scuola, un’impresa, l’azione di governo, un sequestro di persona, sono tutte forme di cooperazione, ma si riferiscono a fenomeni umani molto diversi tra di loro. Da ciò deriva una prima conseguenza: non tutte le cooperazioni sono cosa buona, perché ci sono cooperazioni che sebbene aumentino i vantaggi dei soggetti coinvolti peggiorano il bene comune perché danneggiano altri che sono al di fuori di esse.

Per distinguere la buona dalla cattiva cooperazione è necessario innanzitutto guardare agli effetti che intenzionalmente produce sulle persone esterne a essa. Nel corso della storia, le teorie politiche ed economiche si sono suddivise in due grandi famiglie. Quelle che partono dall’ipotesi che l’essere umano non sia naturalmente capace di cooperare, e quelle che invece rivendicano la natura cooperativa della persona. Il principale rappresentante della seconda tradizione è Aristotele: l’uomo è animale politico, cioè capace di dialogo con gli altri, di amicizia (philia) e di cooperazione per il bene della polis.

L’esponente più radicale della tradizione dell’animale insocievole è, invece, Thomas Hobbes: «È vero che alcune creature viventi, come le api e le formiche, vivono insieme socialmente. Pertanto qualcuno vorrebbe sapere perché gli uomini non fanno lo stesso» (Il Leviatano, 1651). All’interno di questa tradizione antisociale si muove molta parte della filosofia politica e sociale moderna, mentre gli antichi e i medioevali (incluso Tommaso d’Aquino) erano generalmente dalla parte di Aristotele. Potremmo anche dire che la principale domanda delle teorie politica ed economica moderne è stata come possano emergere esiti cooperativi a partire da esseri umani che non sono capaci di cooperazione intenzionale, perché dominati da interessi egoistici o egocentrici. Molte teorie del «contratto sociale» (non tutte) sono state la risposta della filosofia politica della modernità: individui egoisti, ma razionali, capiscono che è nel loro interesse dar vita a una società civile con un contratto sociale artificiale. L’uomo naturale è incivile, e quindi la società civile è artificiale. La risposta della scienza economica moderna a quella stessa domanda è, invece, rappresentata dalle varie teorie della «mano invisibile», dove il bene totale («la ricchezza delle nazioni») non nasce dall’azione cooperativa intenzionale e naturale di animali sociali, ma dal gioco degli interessi privati di individui egoisti separati tra di loro. Alla base di queste due tradizioni ritroviamo la stessa ipotesi antropologica: l’essere umano è un «legno storto» che, senza bisogno di venir raddrizzato, produce buone «città» se è capace di dar vita a istituzioni artificiali (contratto sociale, mercato) che trasformano le passioni autointeressate in vantaggio o benessere collettivo”.

(Luigino Bruni e Stefano Zamagni, L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Il Mulino, Bologna 2015)