Carissime famiglie e carissimi amici che abitate in questo nostro territorio,
diletto popolo santo di Dio che cammini pellegrino verso la patria celeste,
vorrei far pervenire a tutti un sentito e sincero augurio pasquale, in questo tempo di prova, di paure e di angosce che condividiamo con tutta l’umanità. Sento con voi il dramma che ci ha colti. Ora incoraggiamo in noi un “cuore empatico”, anche per la fede in Cristo: sforziamoci di “sentire i sentimenti di tutti attraverso i sentimenti di Cristo per questa umanità”. Alla luce del mistero pasquale, allora, sarà necessario, entrare nel nucleo del grido di dolore di quanti sono stati contagiati e, soprattutto, di quanti sono morti: “dove sei e dove eri mentre noi stavamo morendo e soffrendo, patendo panico e angoscia o la paura del naufragio per il mare in tempesta?”. Su domande così umane, non servono grandi discorsi o i ragionamenti dei sapienti. Aiuta soltanto la sapienza di Dio che possiamo ascoltare proprio nel suo silenzio, quello di Gesù crocifisso che è morto per noi. Perciò quel grido, continua a interpellare, ma assume un volto nuovo in questa domanda:
«Si può gioire in un tempo di prova?».
Nelle nostre famiglie sappiamo, come nella vita impariamo, a unire dolore e gioia. Certo però ora la prova assume una dimensione nuova, enorme, straziante, con aspetti inconsolabili per le tante persone che sono morte.
Tuttavia – a ben pensarci- la novità è che siamo costretti a fare i conti con la morte come pericolo diffuso, insidioso e invisibile, e non tanto come conclusione del corso ordinario della vita e neppure come incidente che sì ci tocca e sconvolge ma resta eccezionale.
Siamo mortali! Siamo caduchi e impermanenti. Siamo esposti e vulnerabili. Questa è la sacrosanta verità. Questo è quello che, pur con difficoltà, siamo chiamati a dirci.
Ebbene, la Pasqua annuncia la vittoria della vita sulla morte, non saltando ma immettendo dentro la paura un cammino di speranza e di fiducia, accendendo nel cuore della notte – non più nelle navate delle nostre chiese, ma nelle navate del mondo e del cuore – una luce nuova e tenace.
Ecco, carissimi, allora un semplice, triplice augurio:
- riconciliarci con la nostra finitezza e portarla davanti al Signore, dirgli dubbi e domande, gridare a Lui, e sentirci dentro la sua passione, la sua agonia, il suo grido sulla croce;
- ricordare, al tempo stesso, che Dio ci ha salvato e ci salva, che Cristo ci ha consegnato e ci consegna parole che sono di vita eterna, che si avvicina – come fece da Risorto con la Maddalena – chiamandoci per nome, chiedendo a ciascuno di noi «perché piangi?» e continuando ad annunciarci che Lui è la via per incontrare un Dio che resta Padre, Padre suo e nostro, anche quando non ne comprendiamo il silenzio di fronte alla nostra angoscia mortale;
- essere pronti ad andare all’alba al sepolcro, essere disponibili a cogliere con prontezza la rinascita nel nostro cuore e nel cuore dell’umanità della speranza, augurandoci anche di tornare presto insieme attorno alla sua mensa, come nella sua apparizione al lago di Tiberiade, portando buoni frutti: non più legati alle nostre capacità (spesso da delirio di onnipotenza), che questa prova ha messo in crisi, ma all’energia della sua grazia, che trova spazio in noi se perseveriamo nella fede anche quando è notte fitta.
Care famiglie,
viviamo allora questa settimana santa trovando spazi per la preghiera personale e familiare in casa, oltre a sentire la comunione con tutta la Chiesa e a seguire le celebrazioni attraverso i mezzi di comunicazione e i social. Sono sicuro che il Signore non mancherà di consolarci con il suo Spirito, per aprire il nostro cuore, pur nel dolore, alla gioia. Ed è come se ci chiedesse, dopo una quaresima di preghiera, anche un tempo pasquale di preghiera, un’attesa nel Cenacolo con Maria e gli apostoli, in fiduciosa attesa e operoso amore: guardando con gratitudine e ammirazione a medici, infermieri, protezione civile, volontari, forze dell’ordine, lavoratori, rappresentanti delle istituzioni.
L’azione della grazia e la compagnia dei testimoni ci aiuteranno a trovare, dopo la necessaria distanza, linguaggi che ci permetteranno di comunicare – come amava dire il cardinale Newman – «da cuore a cuore», con empatia. E, così, ricominciare con la verità di un amore che dovrà saper essere sempre più attento ai più deboli, coraggioso nel chiedere con forza che le risorse pubbliche siano sempre per la vita e non per la morte, per la sanità che cura, per la scuola che educa, per lo stato sociale che promuove dignità e coesione, e non per le armi che servono per distruggere e dominare con la potenza del terrore, e nemmeno per l’ampliamento a dismisura di una economia che scarta i poveri e uccide tutti (Papa Francesco).
Auguri, allora, carissimi, mai come in questo momento con tutto il cuore!
E non possiamo (nella dilatazione del cuore grazie alla preghiera) non pensare alla cara diocesi gemella di Butembo Beni con rinnovato affetto e al nostro Seminario, a cui è dedicata per antica tradizione nella nostra Chiesa locale la giornata di Pasqua: si tratta di partecipare, con la preghiera, alla solidarietà, alla formazione dei nuovi preti del domani. Pregate molto, care famiglie, per i giovani in cammino di discernimento e per tutti coloro che sono già presbiteri. Tra di loro ci sono tanti preti (anche missionari, come i padri saveriani di Parma) delle diocesi più colpite, che a causa del Covid-19 sono morti dopo una vita di dedizione. Tra di loro, don Giuseppe Berardelli, della diocesi di Bergamo, passato al Padre con un gesto che meglio di tante parole dice come la fede nel Risorto genera carità: ha rinunciato al respiratore polmonare donato dai parrocchiani a favore di un altro ammalato più giovane.
Ecco che la Pasqua non solo ce la auguriamo con fiducia ma anche la intravediamo già, invisibile agli occhi ma non al cuore. Ci accompagni sempre Maria santissima, Scala al Paradiso, “ora e nell’ora della nostra morte”, amen. Buona Pasqua!