“Don Pino aveva il sorriso mite. Il sorriso di chi è stato fedele a Dio e all’uomo. Il sorriso di chi non si è tirato indietro, di chi aveva dato tutto”. Suor Carolina Iavazzo, che è stata accanto a don Pino Puglisi vivendo assieme a lui “con stupore ogni piccolo segno di cambiamento” positivo nel quartiere di Brancaccio, ha ricordato a Modica la figura del sacerdote e dell’uomo Pino Puglisi. Perché lo ha chiarito subito: “Pensare a don Pino come un prete antimafia sarebbe come togliergli la dignità di prete. Don Pino era un prete, punto. Non era anti, era al servizio, di Dio e degli altri. E non era un eroe: gli eroi sono irraggiungibili. Don Pino era uno come noi. Se ce l’ha fatta lui, anche noi possiamo e dobbiamo farcela anche noi”. Ad ascoltare il racconto di suor Carolina, nell’incontro promosso dalla Caritas e dalla Fondazione ‘Val di Noto’ all’auditorium ‘Pietro Floridia’ di Modica, in piazza Matteotti, c’era tantissima gente. Sala strapiena e un grande desiderio: conoscere da una testimone privilegiata la vita e l’impegno di un martire, che però “non deve diventare un santino”. Suor Carolina ha più volte lanciato un forte invito: “Ci sono tre strade nella vita. Una bianca, quella del bene. Una nera, quella del male. E poi c’è quella grigia, quella dei tiepidi, quella di chi pensa di comportarsi bene solo perché va a messa o è una persona perbene. Quella di chi sta alla finestra a guardare questo mondo che sta morendo. Chi vuole educare deve, invece, scegliere da che parte stare!”. Uno ‘scossone’ che nelle parole di don Pino suonava così: “E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Una riflessione che ha intrecciato i ricordi, la testimonianza viva di quel “sangue raccolto”, di quel “seme” che ha dato frutti preziosi. “E non solo a Brancaccio o a Palermo”, ha detto la religiosa, dicendosi felice di tornare a Modica, dove da anni la ‘Casa’ che accoglie mamme e bambini più fragili, dando loro speranza e futuro, porta il nome di don Pino. “Questo è quello che sanno fare i grandi. Questo è quello che sanno fare i santi”, ha poi scandito riferendosi all’onda di rinnovamento che da quel “sangue” e da quell’impegno per gli altri è scaturita. Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana, ha voluto ricordare che il vescovo Salvatore Nicolosi, in occasione dell’uccisione del sacerdote, disse di don Pino: “È morto un prete che ci ricorda come essere uomini”. E volle che la ‘Casa’ che portava il nome di don Pino fosse allocata in un edificio del seminario: “Il prete alla Chiesa, l’uomo alla città”, ripeteva il vescovo Nicolosi. Il prete con il sorriso sulle labbra, che non era mai puntuale perché non sapeva mai dire di no e quindi non riusciva spesso a far tutto secondo il ‘programma’. “Una sola volta è stato puntuale – ha ricordato suor Carolina -. Quando è stato inaugurato il Centro Padre Nostro, a cui lui teneva tantissimo. Era un educatore di strada diremmo oggi. Un educatore che sa che ai ragazzi non va data solo la Nutella, ma anche il pane ‘duro’ della fatica, dell’impegno. Non diamo cose ai nostri ragazzi, ne hanno fin troppe. Come genitori, come educatori dobbiamo dare tempo, dare ascolto”. Un bel ricordo anche della figura di don Pino insegnante: “Un educatore della maieutica: il suo sforzo era quello di tirar fuori il bene e il bello che c’era nei ragazzi Un insegnante vero, che diceva la verità. Per aiutare i ragazzi dobbiamo aiutarli a crescere nella verità. Se vuoi bene al ragazzo devi dire la verità, insegnare la bellezza, senza camuffamenti”. E i frutti arrivano. Perché il “primo convertito dopo l’uccisione di don Pino è stato proprio un ragazzo. Veniva in parrocchia per poi riferire tutto, per fare la spia, diciamo così. Dopo la morte di don Pino si è recato alle Forze dell’ordine a raccontare tutto, oggi è un collaboratore di giustizia e gira l’Italia per portare questa sua testimonianza”. Suor Carolina ha dato spazio ai ricordi più profondi: “Dopo la dura omelia che fece in chiesa quando la mafia diede fuoco alla struttura dove stavano i volontari, gli chiesi che costa stesse facendo. E mi rispose risoluto, con fermezza: Cosa possono farmi, più che uccidermi che possono farmi? … Ho capito solo dopo anni cosa volesse dirmi davvero. Mi diceva in fondo quello che c’è scritto nel Vangelo: possono uccidere il corpo, ma lo spirito, la testimonianza, quelli no”. E ancora: “Ho imparato molto da don Pino, come donna, come religiosa. Se un giovane doveva sposarsi e magari non aveva fatto la prima comunione, io allora mi preoccupavo per queste cose. Lui mi ripeteva: non preoccuparti di questo, occorre prima la base umana. Se solida, poi viene tutto il resto”. Un messaggio, quello di don Pino, che “vogliamo custodire nella coerenza” ha detto Maurilio Assenza, che si è detto molto felice della presenza di tante realtà all’incontro. Presenze non solo da Modica, ma da tutta la diocesi. A rappresentarla c’era il vicario generale, don Angelo Giurdanella, che ringraziando suor Carolina per la sua testimonianza, ha detto “Oggi abbiamo bisogno di uomini e donne che continuano a narrare la vita buona del Vangelo”. Presente anche il sindaco, Ignazio Abbate, che ha parlato di don Pino come di un “punto di riferimento per la città”, con la testimonianza concreta e quotidiana della ‘Casa’ che porta il suo nome, del cantiere educativo ‘Crisci ranni’. A concludere l’incontro è stato don Christian Barone, nominato dal monsignor Antonio Staglianò, nei giorni scorsi, quale assistente della Caritas diocesana. Anche lui ha espresso il proprio grazie a suor Carolina, per “aver testimoniato la vita di don Pino come un evento in cui Dio si è fatto presente”.