Una vecchia audiocassetta con la voce di don Pino Puglisi

Una vecchia audiocassetta con la voce di don Pino Puglisi

Una vecchia audiocassetta con la voce di don Pino Puglisi 989 652 Casa Don Puglisi

 

Mai come quest’anno, il trentesimo dal martirio di don Pino Puglisi e il decimo dalla sua beatificazione, le sue parole diventano testimonianza a cui ispirarsi, nonostante la distanza temporale.

Abbiamo ospitato a Casa Don Puglisi Francesco Deliziosi, giornalista palermitano, allievo e amico di Don Pino, unico membro laico della commissione diocesana che ha istruito la pratica per la sua beatificazione.
È stato proprio in occasione della presentazione dei suoi libri pubblicati da Rizzoli – “Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” e “Don Pino Puglisi. Se ognuno fa qualcosa si può fare molto”, che abbiamo colto l’opportunità di ascoltare una vecchia audiocassetta che conteneva le parole pronunciate dal prete educatore quel 18 febbraio del 1993, durante un incontro organizzato a Brancaccio, tra i più difficili quartieri di Palermo, nonché metafora di tutte le periferie del mondo da non abbandonare.

È stata un’emozione forte ascoltare la sua voce, ascoltare pronunciare quelle parole che sono diventate guida anche del nostro quotidiano impegno educativo e sociale.

Ripercorriamo insieme uno stralcio di quell’emblematico discorso, ripreso dal testo di Deliziosi, da cui poter rinnovare una consapevolezza sulla responsabilità che ciascuno di noi ha nell’oggi, del nostro presente, della nostra città.

Io infatti ci credo a tutte quelle forme di studio, di protesta, di corsi: perché logicamente questa è la diffusione di una cultura diversa, perché la mafiosità si nutre di tutta un’altra cultura, la cultura dell’illegalità. Un esempio? Quando tu senti uno di questi che fa parte della microcriminalità dire: vabbè, mi hanno portato all’Ucciardone perché ho rubato poco… E loro hanno rubato miliardi!

Questa battuta in fondo fa un po’ ridere perché fatta da un analfabeta che guarda a chi ruba con eleganza, molta cultura e molte lauree sulle spalle… Però la mentalità che c’è sotto è proprio quella: si è disposti a svendere la propria dignità per soldi, a svendere il valore dell’attività umana.

Ripeto, quindi, mi sembra giusto che si parli di mafia, è un’opera che si deve portare avanti nelle scuole in modo più capillare possibile. Non ci si fermi, però, ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, attenzione, non vorrei essere frainteso. Hanno valore ma se ci si ferma a questo livello sono soltanto parole. E le parole devono essere convalidate dai fatti. Noi abbiamo quasi cinquant’anni di parole pronunciate da parte di questi qui (i politi, n.d.a.) che finalmente adesso vengono sbugiardati.

Parole, parole, belle parole… È vero che alcune cose sono state fatte, ma con quale intento adesso lo stiamo vedendo. Alcune cose sono state fatte ma poche rispetto a quanto si doveva fare. Non cadiamo anche noi in questo tipo di stile.
Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare il quartiere. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. È soltanto un segno per fornire altri modelli di comportamento, soprattutto ai giovani, e cercare di smuovere le acque.

In questa prospettiva ha senso anche premere sulle autorità amministrative perché facciano il loro dovere, tentare di coinvolgere il maggior numero di persone in una protesta. Ma non dobbiamo illuderci: da soli non saremo noi a trasformare Brancaccio. Lo facciamo solo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche; e dire: si può fare qualche cosa. E se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto.”1

 

 

1 F. DELIZIOSI, a cura di, “Don Pino Puglisi. Se ognuno fa qualcosa si può fare molto. Le parole del prete che fece paura alla mafia”, Rizzoli, Milano, 2018, pp. 63,64.