A Modica il ricordo di don Puglisi si sta snodando in tre luoghi simbolici: il monastero delle Benedettine dove si è tenuta una veglia di preghiera la vigilia del giorno anniversario del martirio; la piazza principale il prossimo 26 settembre quando ci sarà l’incontro con suor Carolina Iavazzo, collaboratrice di don Pino a Brancaccio, nell’auditorium Pietro Floridia; le scuola dove spontaneamente tanti insegnanti stanno parlando in questi giorni di questo semplice, mite ma coraggioso educatore e prete. “Nella veglia – ha riferito Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana – si sono ripercorsi gli ultimi tre giorni della vita di don Puglisi: il suo annotare il breviario il 13 settembre sui marosi della vita che si attraversano restando saldi in Cristo; la messa in una casa per ragazze madri il 14 dove ha chiarito che sulla croce Dio è l’Amore che vince e dà forza, fecondità; il suo lottare per la scuola ancora la mattina del 15 e trovare la morte sotto casa la sera, consegnando un sorriso che ha convertito l’uccisore.
Nei salmi la vita di don Puglisi è diventata consegna e preghiera delle tante persone presenti, tra cui tanti giovani, con commozione e gratitudine”. Commentando il vangelo del chicco di grano che morendo fruttifica, don Christian Barone ha indicato in don Puglisi un seme tutt’uno con la terra di Brancaccio e Sicilia in un nesso inscindibile, perché – ha sottolineato – “si è lasciato cambiare, trasfigurare – diremmo anche convertire – dall’incontro con la gente, soprattutto con i giovani, che in una periferia di Palermo (esistenziale prima che geografica) versavano in condizioni di degrado e di abbandono. Lo fece da prete, da parroco, senza cadere nella tentazione della visibilità o dei facili eroismi”. “Attenzione agli ultimi, presenza nel territorio, coraggio di agire e di sporcarsi le mani. Questa è l’eredità semplice, oserei dire quasi ‘francescana’ – ha ancora detto don Christian -, che ci lascia questo prete feriale, e che dobbiamo tenere ben presente se vogliamo riconoscerlo come ‘santo’ senza cadere nel rischio di farne un ‘santino’”. Ed ha concluso la sua riflessione ricordando come “affrontare il martirio, in ultima istanza, è stato per don Pino solo la conseguenza di una scelta che si può riassumere in queste sue poche parole ‘Mi è difficile pensarmi in una chiesa che non sia in mezzo ai poveri’. Il primo martire della mafia è una provocazione per la chiesa a rinnovarsi nel sangue dei suoi martiri, è un incitamento per tutti a non cadere nel disimpegno, a non ignorare il nesso inscindibile tra fede e vita”.
Nesso che è risuonato nelle intercessioni: delle Suore Benedettine per le vocazioni, soprattutto ministeriali e religiose; delle Suore Salesiane per i giovani e gli educatori sulle orme di don Bosco, che chiedeva a Dio “togliergli tutto ma dargli le anime”, tanto caro a don Puglisi; della comunità francescana per una vita povera, libera, gioiosa. Si è pregato quindi perché i giovani, perché sappiano discernere e avere coraggio, e si sono ricordati i fratelli di Paganica (peraltro accanto all’altare è stata posta l’icona “scritta” a Paganica dalle Clarisse. E poi vi è stata la preghiera nata dai segni di don Puglisi a Modica, la Casa di accoglienza e il cantiere educativo Crisci ranni. Una preghiera rivolta al “Signore dei piccoli e dei fragili per sostenere le speranze nascoste delle mamme della Casa don Puglisi, chiedendo lo sguardo per lanciare in alto i desideri di felicità dei ragazzi!”.